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Il Sale della Terra

Quanto può essere lunga una proiezione di diapositive? Di solito si consiglia, per una multivisione, di non superare i 5/6 minuti. Per una proiezione di singole diapositive, 30 minuti possono sembrare una vita intera. Wenders ha deciso di proiettare immagini di salgado, più qualche intermezzo filmato, per due ore.
Le recensioni su questo film sono tutte eccezionali: “Monumentale” è una delle parole più usate. Per questo, dopo più di tre anni che non metto piede in un cinema, mi sono laboriosamente ritagliato due ore di tempo per vedere questo documentario.
Premetto che, essendo un fotografo, alcune cadute di stile da Nerd mi appartengono: quale fotografo non desidererebbe informazioni inutili come sapere che macchina usa Salgado, che tempi e diaframmi e pellicola ha usato per una certa foto? O anche cose meno inutili: che condizioni di luce ha cercato? A che ora fotografa? Come organizza le sue uscite?
Lo so, sono piccolezze. Curiosità che riguardano i mestieranti. Qui si sta parlando di poesia.
E infatti, di tutte queste cose Wenders non ci dice nulla.
Wenders ci parla non del fotografo, ma dell’uomo Salgado.
Ma allora, a dispetto delle recensioni, perché a un certo punto ho cominciato a provare quasi un senso di noia, una perdita di attenzione poco spiegabile di fronte a quelle foto?
Intendiamoci, io ero rimasto flashato tempo fa da un vecchio documentario della BBC in cui Salgado e John Berger, seduti in un cucina con davanti un posacenere e dietro una stufa, commentavano le foto di Migrations. Una roba che meno cinematografica non si può, e che mi aveva rapito.
Volendo fare un paragone con la musica (di cui mi intendo poco, quindi un po’ sparo a casaccio) io vedo un Cartier Bresson come Armstrong (non l’astronauta) e un Salgado come i Pink Floyd. Steve McCurry come Ligabue.
Ma dicevo del film: Wenders non ci dice nulla di “Tecnico” su Salgado, per scelta, immagino.
Però sulla persona? Beh… Salgado è una gran brava persona, questo emerge dal film. Ha girato tutto il mondo per fare i suoi reportage, anzi per seguire i suoi immensi progetti. La moglie in questo l’ha supportato, anzi pare quasi che i progetti li abbia in parte ideati lei stessa, giocandosi così la presenza del marito per anni e anni di fila, mentre lei tirava su un bambino prima, ed un secondo bambino, affetto da sindrome di Down, dopo.
Alla fine sono tornati entrambi alla Fazenda del padre, e hanno piantato due milioni e mezzo di alberi in una zona altrimenti inaridita.
Notevole, no?
Non c’è molto altro, dell’uomo Salgado, in questo film (a parte una parentesi, devo ammettere toccante, sul Rwanda).
Ecco, posso dirlo? Non mi basta. No Wim, non mi basta.
Dato che su due ore almeno 90 minuti sono di foto messe in fila una dopo l’altra, qualcosa in più sulle foto lo volevo sapere. Volevo sapere almeno come lavora Salgado. D’altronde, non è che hai negato di dirmi che maneggia con gioia una enorme Canon 1D digitale. Penso che Canon sia stata molto contenta. Anche io, che uso Canon. Però l’uso della digitale per Salgado è stato solo un ripiego necessario durante l’ultimo progetto, Genesi: forse un accenno a come ha sempre lavorato poteva starci.
E quelle immagini assolutamente stupefacenti? Cioè, dico io, almeno un accenno all’arte che c’è da sempre dietro la fotografia, la stampa, lo facciamo? Chi è che gliele tratta così? Una piccola parola su quell’omino chiuso in qualche sgabuzzo che si smazza migliaia di scatti e li trasforma in quegli enormi affreschi che con la fotografia paiono non essere quasi più imparentati? Poi magari è Salgado stesso, ma allora dimmelo, lo vorrei sapere per accrescere la mia stima verso di lui.
Ma, immagino, la scelta di non parlare della tecnica o della modalità di lavoro è voluta. Anche se non mi neghi qualche ripresa di Salgado che va a fotografare i trichechi. E proprio da questi pochi minuti di ripresa mi viene quasi il dubbio che in realtà volessi far vedere di più ma… non ci fosse il materiale.
Però, se invece la scelta è voluta, non capisco perché un documentario su un fotografo non mi faccia capire, ad esempio, com’è che ‘sto tizio parte per il mondo per anni di fila: ha dei finanziamenti, è ricco di famiglia, è povero in canna e quindi non gli cambia nulla? Cioè, una spiegazione ci deve essere, no? E’ un documentario, documentami!
Perché il bianco e nero come unica scelta, per qualsiasi cosa? Ci sarà un motivo… ne parliamo? Salgado ha mai lavorato per qualche committente, qualche rivista, prima di essere SAL-GA-DO? Hanno anche loro accettato che lavorasse solo in bianco e e nero, oppure in giro esistono servizi di Salgado a colori di cui nessuno mostra mai nulla, quasi fossero antichi segreti inconfessabili?
Scusami, Wim, ma se mi metti in fila centinaia di foto una dopo l’altra, non puoi pretendere che io proprio sulle foto non diventi curioso. Voglio sapere tutto. Tempi e diaframmi compresi, per quel che me ne faccio! (Altrimenti basta comprarsi il libro)

Qui il documentario della BBC di cui parlavo: più corto, Genesi ancora non esisteva, ma lo ammetto: secondo me c’era già tutto.